Belgio, Svezia e Repubblica d’Irlanda. Queste sono le tre squadre che l’Italia si troverà ad affrontare nel Gruppo E ai prossimi Europei di Francia 2016. Ora che i giochi dell’urna sono fatti, è quindi arrivato il momento di fare un’analisi accurata di ciò che è successo in questi ultimi 16 mesi. Era infatti il 19 agosto del 2014 quando la guida tecnica della Nazionale italiana cambiava, passando dalle mani di Cesare Prandelli a quelle di Antonio Conte. Gli azzurri, all’epoca, erano reduci da un biennio altalenante: arrivati trionfalmente in finale ad Euro 2012, trascinati dalle prestazioni di Super Mario Balotelli prima di perdere 4-0 contro la Spagna più forte degli ultimi anni, si sono poi scontrati con i propri limiti a Brasile 2014 non superando nemmeno il girone di qualificazione per la seconda edizione consecutiva, eliminati dall’Uruguay in una gara passata alla storia per il famoso morso di Luis Suarez a Chiellini.
L’APPRODO SULLA PANCHINA DELLA NAZIONALE
Le critiche all’ex allenatore della Fiorentina furono molto pesanti da parte degli addetti ai lavori e dei tifosi. Serviva una svolta immediata, serviva una personalità e una filosofia di gioco differente, ed è stato allora che la Figc ha ingaggiato il tecnico leccese, blindandolo per due anni fino al 31 Luglio 2016, poco più di un mese oltre la fine del campionato europeo in Francia.
Conte arrivava da ben 3 scudetti di fila vinti con la Juventus; viveva un periodo di grandi responsabilità ma anche di meriti, nonostante la sua Juventus fosse padrona in Italia, ma non in Europa dove raggiunse i quarti di Champions nell’edizione 2012/13, ma venne eliminata nella fase a gironi l’anno seguente. Per lui, abituato alle sfide non semplici, essere a capo di quella maglia azzurra che tante volte aveva indossato significava cambiare abitudini, lavorare con meno assiduità, ma non con meno pressioni perché si sa, i mass media oggi giorno non perdonano nulla.
L’esordio sulla panchina avvenne in una gara amichevole giocata il 4 Settembre 2014 contro l’Olanda, battuta 2-0. Fu una gara che fece gridare al miracolo, visto che gli Oranje avevano fatto un cammino importante in Brasile. La verità era che mancavano pedine importanti tra le fila olandesi, Robben su tutti.
UN ATTACCO SPUNTATO
L’Italia di Conte, dopo un anno e mezzo di “vita”, possiamo dire con franchezza che non sia tutto questo spettacolo. Va dato atto a Conte che la tradizione della Nazionale italiana vuole il solito gioco: atteggiamento difensivista, tanta fisicità soprattutto in difesa, ripartenze e un po’ di fantasia nel reparto offensivo. E ha un’altra attenuante, molto più significativa e in un certo senso preoccupante: l’Italia non riesce più a “sfornare” attaccanti di qualità, il classico bomber da area di rigore. L’ultimo è stato Bobo Vieri, che nella sua carriera di alti e bassi, raccontata ultimamente in un libro autobiografico, è stato numerose volte trascinatore della Nazionale.
Oggi il parterre dell’attacco nostrano ha diverse individualità notevoli, ma nessun uomo degli ultimi 16 metri “di razza”. I nomi sono sotto gli occhi di tutti: Giuseppe Rossi, gran talento ma sfortunato; il già citato Mario Balotelli, che non è una punta classica e che i pronostici per la Serie A di GazzaBet oggi non danno tra i favoriti per prendere parte all’avventura francese dell’estate prossima, e Simone Zaza, spesso selezionato da Conte ma, abbastanza chiuso nella Juve di Allegri. Il titolare è ormai Graziano Pellè, che ha cominciato a farsi apprezzare con le maglie di Feyenoord e Southampton dopo non aver sfondato in Italia, a fianco del quale ruotano i vari El Shaarawy, poco affidabile dal punto di vista della costanza e tre calciatori che hanno vestito o vestono la maglia della Sampdoria come Gabbiadini, Eder (10 gol in questa Serie A) e Okaka. Insomma, la pochezza in questo reparto la notano tutti, e lo stesso c.t. ha parlato di periodo di passaggio da una generazione generosa a una, quella attuale, più sparagnina.
DIFESA E CENTROCAMPO, PUNTI FERMI
Ciò che non manca, per fortuna, è il “geometra” della situazione, colui che sta prendendo in mano l’eredità, pesantissima, di Andrea Pirlo: Marco Verratti. Che abbia talento, che sia già a soli 23 anni un pilastro di uno dei club più prestigiosi al mondo, il Paris Saint-Germain, è sotto gli occhi di tutti. Il centrocampista pescarese fa tutto con estrema facilità e questo per il calcio italiano è un grosso colpo di fortuna. Fa ben sperare anche il reparto difensivo, che ha qualche punto fermo, ma anche le spalle coperte. Gente come Bonucci e Chiellini dovranno un giorno lasciare spazio a giovani come Romagnoli e Rugani, punte di diamante della nostra retroguardia. Il primo ormai lanciato nel mondo difficile del football italiano, il secondo potenzialmente fortissimo ma non ancora svezzato in tutto e per tutto. Ciò che si sa è anche che la fascia destra è in buone mani per anni, sperando che Darmian continui sui livelli attuali.
E poi c’è il capitolo portiere, su cui si apre un mondo: Buffon ha 37 anni, e nessuno dice che può e deve giocare ancora. Detto ciò, rimpiazzare uno della sua levatura sarà un’impresa, e non perché in Italia non ci siano portieri validi, ma perché è Buffon, forse il portiere più forte al mondo degli ultimi 30 anni. La materia prima su cui Conte deve e sta già lavorando è sostanzialmente questa. Non ci si aspetta dall’Italia un Europeo magistrale, anche perché ci sono compagini molto più attrezzate, e non si parla solo di Spagna. La qualificazione è stata tranquilla, nessun intoppo, nessuna brutta figura, ma neanche prestazioni memorabili. Neanche la panchina è sicura, visto le diverse proposte che l’ex mister bianconero ha ricevuto, in primis Milan e Roma. Al contrario, alla Nazionale sono stati accostati nomi del calibro di Fabio Capello e Luciano Spalletti. Conte era stato già chiaro questa estate quando i rossoneri l’avevano contattato: l’obiettivo è fare prima l’esperienza in Francia. Finita quella, e non sarà una passeggiata, il futuro sarà da riscrivere per tutti.